Dina Zacchetti Filippi (1915-2006): Un vero leone


Dedicato a mia Madre

DINA ZACCHETTI FILIPPI (1915-2006)

UN VERO LEONE

Mia Madre. Un vero Leone, piena di fiamma e di passione. Ma anche la piccola Didi con i suoi sogni di fanciulla, la sua arte, la ragazzina prodigio prima attrice della compagnia teatrale di Carlo Ludovico Bragaglia. Conservo con cura le recensioni, gli articoli, le foto di scena, il telegramma di stima della Regina alla piccola grande attrice, un inedito di Bragaglia scritto per lei e la bella recensione di Luigi Pirandello, di valore storico, culturale e affettivo. Mamma ha poi lavorato negli anni con Eduardo, Zeffirelli, Fellini e tanti altri, io la seguivo sul set o dietro le quinte, nutrendo il mio giovane spirito della magia del teatro.

Nel primo ricordo che ho di lei, che probabilmente ha segnato in seguito la mia di vita di pittrice, Mamma mi teneva in braccio e, come ho saputo molto tempo dopo, eravamo in visita in uno dei tanti musei in cui soleva portarmi, ricordo infatti grandi quadri pieni di colori, enormi per la mia età. Ringrazierò sempre lei per averci educato all’Arte e alla Musica e nostro Padre per averci incantato con i suoi racconti, pur drammatici, di guerra e d’avventura (e intanto ci trasmettevano le loro convinzioni etiche di giustizia e libertà).

Non ho solo bei ricordi, no, erano due caratteri forti e spesso burrascosi, ma crescendo in età e desiderio di autonomia, ho compreso come il temperamento di mia Madre poco si addicesse al solo ruolo di moglie e madre, pur avendo per noi molto diradato i suoi impegni di attrice, ma ci ho riflettuto molto e comunque ognuno ha la sua storia e quindi va bene così.

Mia Madre era figlia e nipote di letterati che erano in amichevole corrispondenza con Carducci, Adolfo De Bosis, Benedetto Croce, (conservo carteggi, foto, pubblicazioni e tanti documenti, tra cui un carteggio amoroso con la scrittrice Ada negri).

La madre, Marcella Ferretti, poetessa, era pronipote del Papa Pio IX e ne era fiera, ma il mio cuore batte per Garibaldi, Mazzini e la Repubblica Romana.

Racconterò ora dell’incontro tra mia Madre e mio Padre, tenente colonnello dei bersaglieri, con le parole scritte da mia Madre stessa.

“Alberto è stato ed è l’unico vero grande amore della mia vita. Era l’estate del ’42, ci siamo incontrati e innamorati al mare; Era bello in divisa da tenente, ma allora ero fidanzata e non diedi importanza a quell’incontro che credevo casuale, ma il destino… in breve il 3 settembre eravamo fidanzati. In quel periodo lui era interprete in un campo di prigionieri a Cinecittà, lo andavo a trovare ogni giorno e durante quei mesi di fidanzamento il nostro amore cresceva sempre più, fino a diventare una vera passione”!

Un giorno però arrivò l’avviso di trasferimento per ignota destinazione e vollero assolutamente sposarsi con estrema semplicità; era il 28 aprile del ’43. Papà fu inviato a comandare un nucleo antiparacadutista e Mamma lo raggiunse ma essendo zona di guerra era proibito portare la moglie, così si tolsero le fedi e lei figurò come un’occasionale amichetta. Devo dire che ammiro il loro spirito libero e l’incuranza, di fronte a motivi più seri, per il giudizio degli altri, e questo da loro l’ho pienamente ereditato.

Intanto mia Madre aspettava il primo figlio e i giorni trascorrevano sereni con i 33 bersaglieri del nucleo in quel di Passo Corese. Racconta ancora “il giorno facevamo il bagno nel fiume e la sera al chiaro di luna ci riunivamo, Alberto suonava la fisarmonica e due bersaglieri la chitarra e il mandolino; io cantavo e così cercavamo di dimenticare gli orrori della guerra”.

E quando L’otto settembre tutto crollò, i miei genitori camuffati da contadini si dettero alla macchia errando per tutta la Sabina, dormendo solo con una coperta sui prati.

Si avvicinava però il momento del parto e così in qualche modo riuscirono a tornare a Roma.

Quando arrivarono gli americani (mio Padre ne ha molto raccontato nelle interviste della Banca della Memoria, ma questa è un’altra storia) fondarono il Labour-Office e papà conoscendo bene l’inglese trovò subito lavoro. In seguito quell’ufficio divenne il Ministero del lavoro e lui arrivò a dirigere il settore dell’Emigrazione, ricordo, con grande abnegazione e solidarietà, fino alla pensione.

Da quell’albero siamo nati noi, quattro figli, i rami e le foglie sono cresciuti, nipoti e pronipoti, generi e nuore, tutti molto amati e uniti.

Oltre ad averle vissute da bambina, tante altre notizie, foto, lettere, cimeli, pubblicazioni e altri scritti, mi è toccato in sorte trovarli e riordinarli nel prendermi cura della cessione della casa paterna. Oggi posso dire che è stata un’esperienza totalizzante, dolorosa intensa buffa divertente. Soprattutto dolorosa. La casa era ferma nel tempo, pervasa da una luce un po’ velata, opaca. Così era la casa. O forse era il ricordo del passato, dato che negli anni ho seguito la rotta delle stelle e ho portato la mia vita lontano.

In passato non sono mancati i momenti brutti, i nostri genitori spesso litigavano, mio Padre non è stato un marito fedele e mia Madre ne ha sempre sofferto molto. Stavo quasi sempre con lei e anche se ero piccola capivo. Uno dei momenti più intensi e struggenti del rapporto con mia Madre è stato una sera che loro due erano a cena a casa mia e Mamma, guardandomi con un velo di malinconia nei suoi begli occhi verdi, mi disse: ”In quei giorni tu mi hai salvato la vita, ero disperata ma la tua manina che stringeva la mia mi dava la forza di continuare”; l’ho abbracciata commossa e mio Padre taceva consapevole di non essere incluso in quell’abbraccio.

Ora da donna ripenso e ripercorro, queste emozioni, ma una su tutte: al momento della sua morte mia Madre mi ha insegnato forse più che in tutta una vita; era la mattina del 13 luglio del 2006, porto Mamma in ospedale per controlli, è un po’ giù di tono benché lucidissima. Il medico mi assicura che l’indomani posso riportarla a casa. Rimango per la notte al suo capezzale tenendole la mano, ma verso le cinque me la stringe più forte guardandomi e sorridendo, si segna mormorando il nome della Madre di Dio, fa due respiri e il terzo… non lo completerà mai più.

Era il 14 luglio, la presa della Bastiglia, la leonessa non si smentisce.

Quell’estate ero in una piccola solitaria isola greca e a una decina di metri dalla riva c’era una grande roccia che guardavo ogni giorno, finché un mattino prendo colori e pennelli e, con il mare mosso ho dipinto e dipinto per tutto il giorno, immemore del tempo e di ogni cosa, senza voltarmi o interrompere, per ore, in quella roccia, dedicando l’opera a lei, sulla sommità una protuberanza naturale che sembrava un viso reclinato, “dormiente” su cui ho dipinto gli occhi del suo bel verde, ma un’ondata più forte ha dilavato un po’ il colore rendendolo quasi una benda o un sudario che le velava gli occhi. E posando infine il pennello, forse il mio cuore ha trovato un po’ di pace, Mamma.

Roberta Filippi