Intervista con Violetta Carpino (2014)


L’Artista intervistata da Violetta Carpino, per la pubblicazione della sua tesi di laurea all’Accademia di Belle Arti (2014)

IL CORPO SI FA MONDO IDENTITA’ RIFLESSA E PROIETTATA FRIDA KAHLO E MARINA ABRAMOVIC

V.C. Frida Kahlo e Marina Abramovic, due donne a confronto, grandi artiste e personalità che hanno caratterizzato l’una la prima metà del novecento, l’altra il nuovo millennio. Entrambe hanno dato un grande contributo alla storia dell’arte e, seppure con linguaggi estetici differenti e opposti, hanno trasmesso emotività e riflessioni simili, con una poetica nella quale si sono identificate molte donne. In ambito artistico, quali crede siano gli anelli di congiunzione tra Frida e Marina?

R.F. Scelte di arte e di vita, imprescindibile esigenza di autonomia e ricerca personale, conquistate con percorsi e distacchi dolorosi e solitari, in cui mettere in gioco sé stesse, il proprio corpus e corpo, le proprie verità cercate e fatte emergere “graffiando” nel profondo. L’autenticità di simili scelte non può che generare esemplari rivoluzioni artistiche ed esistenziali.

V. C. Il mondo contemporaneo sta perdendo la spontaneità della conversazione e il valore delle relazioni principalmente a causa dei nuovi mezzi di comunicazione. E’ sempre più difficile svelarsi, mettere l’altro in contatto con il nostro vero io, rendersi vulnerabili, lasciarsi andare al movimento della vita. Tendiamo a proteggerci sempre più dietro lo schermo del computer, cautelandoci da qualunque rischio, anche quello di esser feriti affettivamente, perché in un mondo “usa e getta” le relazioni prendono avvio tanto velocemente quanto altrettanto facilmente possono essere rotte.
Frida e Marina invece ci affidano le loro confessioni più intime e sono donne che hanno amato incondizionatamente, senza alcun tipo di protezione. E’ per questo che gli occhi del contemporaneo sono rivolti a loro? In questo momento storico si sente così tanto il bisogno di ritrovare una relazionalità duciosa e reale?

R.F. Non amo e non frequento Fb o twitter ecc. le mails sono uno strumento efficace e veloce e il web è a volte un surrogato della “Biblioteca di Babele”, ma lo utilizzo però unicamente come spunto per approfondimenti con vere letture, viaggi, studi, sogni, e riflessioni. (O magari a volte mi ci diverto un po’).

Per i rapporti umani preferisco nettamente, dal vivo, annusare, toccare, guardare negli occhi e dentro la pelle delle persone, sentirne i suoni e percepire sfumature preziose e a mia volta, se di relazioni parliamo, dare di me dalle unghie dei piedi all’anima, per brevi o lunghi istanti pienamente vissuti e degni di essere annotati come Vita. Che è qualcosa di troppo serio, leggero, estremo, dolce, straordinario, avventuroso, affascinante, folle, morbido e tagliente per barare con lei e, in ultima analisi, con noi stessi. Le paure di cui parli, sono il vero male che stupidamente l’umanità si autoinfligge.

V.C. Crede che gli uomini possano sentirsi empaticamente coinvolti tanto quanto lo sono le donne osservando le opere delle due artiste?

R.F. No, non lo credo affatto. Altra carne, altro sangue, altra anima, altro rapporto con il proprio corpo, altre verità, altra sessualità. Sono spettatori in ricerca e cammino, a voler essere ottimisti.

V.C. L’identità oggi è un compito. Frida e Marina hanno costruito la propria immagine ed icona mediante l’operato artistico. Secondo lei oggi un giovane che non desidera altro che dedicarsi all’arte per l’intera vita può autodefinirsi artista, affermando così la propria identità rischiando peraltro di sembrare presuntuoso, o deve aspettare di vedersi conferito lo statuto di candidato alla valutazione dal mondo e dal mercato dell’arte?

R.F. Essere artista non è uno status o una etichetta da apporre e tantomeno da farsi apporre aspettando fama e mercato, che sono importanti e perseguibili, ma lontanissimi e ben altro.

La consapevolezza di essere artista non dovrebbe avere nulla a che fare con la presunzione, i pesci respirano nell’acqua, si nasce bianchi o neri ecc., non è un privilegio, è, semplicemente. E ti fa “vedere” con un altro sguardo. Un mio frammento: Se un artista parte dalla propria essenza, dalla propria anima, allora riesce a toccare anche l’essenza delle cose, è consapevole, nella sua visione, di essere unito all’anima del mondo. Quindi l’artista è individuale e universale allo stesso tempo. Si attraversano territori d’ombra, zone di buio profondo, di luce nera, così come zone di radiosità: ma senza separazione o differenze. L’artista conserva la capacità di uno stupore e di una verità fanciullesca di fronte a questo mondo pieno di splendore e di buio: ne attraversa i lati oscuri esattamente come quelli in luce, anima unita all’universalità del mondo, alla sua bellezza terribile, al suo splendore. Lei ha saputo passare da un linguaggio ad un altro con un facilità e spontaneità sorprendenti. Oggi si tende ad insegnare ai giovani a non star mai sull’altalena, ma sempre con i piedi fermi, ben saldi sul terreno, in una condizione sicura, in modo tale che si possa essere identificati con uno stile, ma se l’arte è vita, in quanto tale è in continuo divenire: è un lusso che alle volte può essere rigeneratore.

V.C. I giovani artisti che vogliono sperimentare e stare su quell’altalena, come possono secondo lei far fronte a questa “urgenza di stabilità” imposta loro dal mondo contemporaneo?

R.F. O si è liberi, profondamente liberi, o non lo si è, e la libertà sempre si paga ma ancor più ti ripaga, dipende dalla vita che uno si sceglie e che non si deve accettare per imposizioni.

Quanto al mio linguaggio, alle mie sperimentazioni, di cui rivendico la libertà (e che del resto sono comprese e valorizzate in tante mostre, biennali vere, acquisizioni in diversi musei e collezioni, soprattutto apprezzamenti da parte di altri artisti e questo è un valore vero e raro), sono sempre legate da un fil rouge che le struttura, le sottende e le anima: che è l’eros, la visione dell’esistenza come eros cosmogonico ma carnale insieme, pervasivo in ciò che vive ma anche tattile concreto e sensuale.

“… il secolo ventesimo ha rivelato un tipo di sincerità dell’artista che resterà come uno dei segni dello stile della nostra epoca: Roberta Filippi non indietreggia davanti a nulla. Dalle scene di dannazione no alle scene di purezza…Il suo lavoro sta dentro il linguaggio della pittura, ella opera all’interno delle moderne preoccupazioni dell’arte e della cultura non solo europee…( J.Klintowitz, dalla presentazione in catalogo della personale al Museo MASP di S. Paolo del Brasile).

O ancora: ”…la sua pittura ci conduce in quella zona segreta della nostra coscienza dove brucia il fuoco di eros, … la grazia della perdizione che la Filippi infonde alle sue opere con selvaggia e raffinata ispirazione, coincide con l’ ambizione, qui pienamente compiuta, di fare dell’arte un messaggio della sua verità e della sua vita.” (U. Moretti, catalogo per la personale “Arte e Alchimia”)
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V.C. Frida Kahlo oggi viene considerata una grande pittrice messicana. Io sostengo ci sia dell’altro in lei. La sua non è una pittura classica, ma è l’unico strumento che ha per sopravvivere. L’arte per lei non è “espressione di…” ma è il solo modo che ha per fruire della vita. Frida fa tre operazioni interessanti che a mio avviso dovrebbero essere tenute molto più in considerazione e ritengo che possano indurci a definirla l’anticipatrice della Body Art: 1) Frida mostra nell’arte quelle ferite psicologiche e siche che alcuni decenni dopo avrebbero caratterizzato le performance. Quest’ultimo linguaggio si è sviluppato in contrapposizione alla pittura, intesa come finzione, ma nel caso di Frida sappiamo che si tratta di un’intima autobiografia pittorica nella quale non vi è menzogna, dunque viene messo in scena il corpo e lo sguardo con una sincerità totale, proprio come Marina e le performer avrebbero fatto decenni più tardi. 2) Frida dipinge il corsetto di gesso che indossa estendendo l’arte al suo corpo, divenendo ella stessa opera d’arte reale. 3) Frida interpreta con il suo corpo molto tempo prima della “Tonsura” di Duchamp quegli stessi ideali che riporta nell’arte: si veste da uomo per dichiarare la sua androginia e indossa abiti da tehuana per affermare gli ideali rivoluzionari messicani.
Posso chiederle se è d’accordo con la mia dichiarazione nel considerare Frida l’anticipatrice della Body Art?


R.F. Si, è questo e molto altro ancora, profondamente e autenticamente opera d’arte vivente, dolorosa e archetipica, generosa di sé illimitatamente, indagatrice in prima persona di quell’androginia, (che è anche da sempre parte del mio fil rouge), come conoscenza, esplorazione, contatto. Anche la Abramovic, di cui ho fatto una interessante esperienza al PAC di Milano, con quel suo sembiante quasi da grande madre, dolce ed estrema, ha grande capacità e determinazione nel mettere in campo la propria fisicità, animando e disponendo il corpo come spazio scenico di accadimenti, casualità, narrazione poetica, morte/vita, ricordo e futuro.

Non a caso da tanto tempo ho amato Frida e da tempo amo Marina.